La Corte di Cassazione con la sentenza 1° luglio 2015 n. 13506 ha stabilito che i giudici non possono prescrivere psicoterapie alle coppie che si lasciano in modo burrascoso e percorsi di sostegno alla genitorialità da seguire insieme: simili prescrizioni violano il “diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito” e aggirano il divieto di imporre “trattamenti sanitari”.
Esprimendo questo orientamento, la Cassazione ha accolto il ricorso di un papà di Firenze, che si era lasciato ai ferri corti con la convivente, dalla quale nel 2006 aveva avuto un figlio. Il Tribunale e poi la Corte di Appello avevano stabilito l’affido condiviso del bambino collocandolo presso il padre e regolando le modalità di incontro con la madre, ed erano stati prescritti “interventi di sostegno, orientamento e controllo mirati alla diminuzione del conflitto genitoriale”.
Per curare “l’immaturità della coppia genitoriale, ancora troppo coinvolta nel conflitto personale” i giudici avevano prescritto ai due ex conviventi, da sempre molto litigiosi, di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme.
Orbene, per la Cassazione – che gli ha dato ragione – “tale prescrizione, pur volendo ritenere che non imponga un vero obbligo a carico delle parti, comunque le condiziona ad effettuare un percorso psicoterapeutico individuale e di coppia confliggendo così con l’art. 32 della Costituzione”. Ad avviso degli ermellini disporre queste “cura” esula dai poteri del giudice investito della controversia sull’affidamento dei minori anche se viene disposta con la finalità del superamento di una condizione, rilevata dal Ctu, di immaturità della coppia genitoriale che impedisce un reciproco rispetto dei rispettivi ruoli.
“La prescrizione di un percorso terapeutico ai genitori – secondo i supremi giudici – è connotata da una finalità estranea al giudizio quale quella di realizzare una maturazione personale dei genitori che non può che rimanere affidata al loro diritto di autodeterminazione”. Insomma c’è anche il diritto a restare immaturi. L’unica cosa che possono fare i giudici nei casi difficili come questo – caratterizzati da rancori insuperabili – è disporre il monitoraggio dei servizi sociali “che si giustifica in quanto strettamente collegato all’osservazione del minore e al sostegno dei genitori nel concreto esercizio della responsabilità genitoriale”, conclude la Suprema Corte.