Prendiamo in considerazione la fattispecie dei maltrattamenti in famiglia, reato previsto e punito dall’art. 572 del codice penale. La norma in esame prevede che “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni”.
Si tratta, dal punto di vista oggettivo, di un reato necessariamente abituale (nel senso che è richiesta la reiterazione delle condotte) e proprio (nel senso che i singoli atti possono anche non avere un’autonoma rilevanza penale).
Con riferimento alla prescrizione, questa decorre dal momento in cui cessa la permanenza.
La collocazione sistematica della norma è stata oggetto di varie critiche ed osservazioni. Al di là delle problematiche squisitamente accademiche, sussistono importanti questioni inerenti l’oggetto del reato e l’interesse giuridico tutelato dalla norma in questione: si pensi, ad esempio, al problema della sussistenza o meno del reato nei confronti della convivente.
Con riferimento ai soggetti passivi, la giurisprudenza ha ritenuto che ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia non fosse necessario che tali soggetti fossero legati da un vincolo di parentela o affinità, ma era fondamentale che tra di esse vi fosse un legame di assistenza e/o protezione, anche in assenza di un rapporto di convivenza o di stabile coabitazione (così, fra gli altri, Ufficio Indagini preliminari Termini Imerese, 24/10/2011).
Il reato in questione si consuma solo mediante una ripetizione di atti. L’utilizzo del sostantivo plurale “maltrattamenti” pare non lasciare dubbi a riguardo.
Tali atti devono comunque essere collegati tra loro così da essere inquadrabili in una condotta abituale, tale da generare un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile (così Tribunale La Spezia, 25 ottobre 2008, n. 1119).
Nell’ambito della fattispecie dei maltrattamenti è ricompresa la c.d. violenza assistita dei minori: tale particolare violenza ricorre ogni qualvolta atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale siano consumati all’interno della famiglia su figure di riferimento o altre figure affettivamente significative, adulte o minori. Tipico esempio è quello del bambino che assiste alle percosse inflitte da un genitore all’altro genitore.
Il reato in questione sconta, purtroppo, un elevatissimo numero di situazioni “sommerse”.
Elvira Vitulli, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona, ha sottolineato come ai fini dell’emersione del reato in questione, è fondamentale la collaborazione del personale sanitario, a cominciare dal medico di base.