La violenza domestica è un reato che, se accertato, è sempre causa di addebito della separazione.
Ma la pronuncia di addebito non implica, di per sé, l’attribuzione dell’obbligo di pagare un assegno di mantenimento a carico di chi la commette. Lo specifica il Tribunale di Firenze con la sentenza 1314/2020, che approfondisce quale debba essere la sanzione per il coniuge che si sia reso colpevole di atti di violenza in danno dell’altro coniuge, al momento della definizione del processo di separazione personale.
La sentenza attribuisce infatti al marito violento l’intera “colpa” della fine del rapporto matrimoniale. A nulla possono valere, ricordano i giudici, le prospettazioni della difesa dell’uomo, che si producono in un «inaccettabile tentativo» di sminuire gli agiti violenti, indicandoli come «singoli e sporadici episodi caratterizzati dalla tenuità del fatto, come uno schiaffo, una tirata di capelli». Il Tribunale, nel respingere in modo assoluto l’ipotizzata minimizzazione, specifica al contrario come anche «un singolo episodio di percosse sia stato ritenuto sufficiente ai fini dell’addebito della separazione al coniuge violento». Di più, nel caso concreto, sono stati acquisiti alla documentazione di causa i messaggi scambiati tra i coniugi, nei quali il marito chiede scusa alla moglie per gli episodi di violenza, citandone specificamente alcuni: “Mi spiace dei pugni non me lo perdonerò mai” o “Ti ho dato uno schiaffo, mica ti ho pestata”. Tali evidenze sono state poi corroborate dalla condanna con sentenza penale divenuta irrevocabile per il reato di lesioni dolose, intervenuta a carico del marito.
Il Tribunale di Firenze ribadisce in modo radicale come «rispetto a tali condotte nessuna giustificazione può essere addotta: la violenza fisica domestica, infatti, quale violazione di norme di condotta imperative poste a tutela dei beni di rango costituzionale, è di per sé sufficiente a determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza», concludendo per l’accoglimento della domanda di addebito.
Tuttavia, quanto alle richieste economiche della giovane moglie e relative all’assegno di mantenimento, il Tribunale di Firenze osserva che non è stato dedotto nulla circa il tenore di vita della famiglia durante il matrimonio, che peraltro ha avuto una durata limitata ed è stato caratterizzato da così tanti litigi che nemmeno si può ipotizzare quale regime economico la coppia avesse assunto per il proprio menage quotidiano. I giudici, quindi, rilevata la sostanziale parità delle condizioni economiche dei coniugi, che esclude l’attribuzione di un contributo a favore del coniuge svantaggiato, respingono la domanda di un assegno separativo in favore della moglie.
È bene ricordare, tuttavia, che la moglie potrebbe chiedere il risarcimento del danno riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra le tante, con la sentenza 8862 del 2012) che ha affermato il principio di diritto in forza del quale la violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio che, da un lato è causa di intollerabilità della convivenza, giustificando la pronuncia di addebito, dall’altro, dà luogo a un comportamento (doloso o colposo) che incidendo su beni essenziali della vita produce un danno ingiusto con conseguente obbligo al suo risarcimento secondo lo schema generale della responsabilità civile. Possono dunque coesistere pronuncia di addebito e risarcimento del danno.