Il dovere di leale collaborazione

Quante volte, valutando la situazione patrimoniale di un cliente o di una controparte, lavvocato si è imbattuto in una, più o meno marcata, distanza fra la situazione effettiva e quella che traspare dai documenti.

Talvolta la situazione patrimoniale di un soggetto sembra proprio un iceberg: una piccola parte affiora ed è immediatamente visibile, mentre un’altra parte (spesso ben più rilevante) è sommersa. 

Tra le novità che la recentissima Riforma Cartabia ha apportato al codice di procedura civile si evidenzia un rilevante principio inserito nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia: l’art. 473-bis.18 , che sancisce il dovere di leale collaborazione delle parti nei procedimenti familiari.

Di che cosa si tratta? Il dovere di lealtà processuale, in verità, non è nuovo nel nostro ordinamento giuridico: l’art. 88 del codice di procedura civile afferma infatti che “le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità”.

Con la nuova norma sembra si sia voluto specificamente rafforzare, positivizzandolo, il dovere di lealtà e collaborazione all’interno dei procedimenti familiari, prevedendo severe sanzioni per le eventuali violazioni di tale dovere nell’ambito dei detti procedimenti.

L’art. 473-bis.18 precisa i termini del dovere di leale collaborazione delle parti, affermando che:
Il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116, nonché ai sensi del primo comma dell’articolo 92 e dell’articolo 96“.

Il legislatore, con tale articolo, ha quindi imposto un comportamento di lealtà processuale realmente peculiare, che giunge sino al dovere di fornire alla controparte elementi contrari al proprio interesse. Questa deroga ai principi che reggono in generale l’attività difensiva, trova fondamento, anche dal punto di vista costituzionale, nei particolari obblighi di reciproca protezione che derivano dal rapporto matrimoniale (art. 29 Cost.). La sanzione processuale di comportamenti che si sottraggono al particolare obbligo di lealtà così individuato non può che essere la valutazione del giudicante del “comportamento” della singola parte nell’ambito del procedimento in materia di famiglia.

L’articolo 473-bis.18 pone attenzione alle informazioni ed alle produzioni documentali che la parte coinvolta in un procedimento in materia di famiglia deve rendere riguardo alle proprie condizioni economiche.

La norma in esame stigmatizza la reticenza e la slealtà della parte circa la propria situazione patrimoniale; molto di frequente, nei procedimenti in materia di famiglia, le parti esibiscono documentazione inesatta o incompleta, omettendo, a volte, talune rilevanti componenti del patrimonio personale della persona fisica, che non trovano riferimento specifico nella dichiarazione dei redditi annualmente presentata.

La dichiarazione dei redditi non è sufficiente per desumere il patrimonio mobiliare ed immobiliare di una parte

Il patrimonio della persona fisica, inteso come complessivo patrimonio mobiliare ed immobiliare può essere desunto solo in parte dalla lettura della dichiarazione dei redditi annualmente presentata.

Un’eventuale partecipazione in società di capitale (s.p.a. o s.r.l. o s.a.p.a.), ad esempio, non trova indicazione nella dichiarazione dei redditi e, quindi, la loro esistenza dovrà essere verificata mediante le informazioni desumibili dal Registro delle Imprese in cui la società partecipata risulta iscritta.

Come, anche, per verificare l’esistenza di autovetture intestate alla persona fisica è necessario effettuare la verifica presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA) che contiene tutte le informazioni relative alle vicende giuridico-patrimoniali dei veicoli soggetti ad iscrizione.

Cosa rientra nel patrimonio mobiliare?

Rientrano nel patrimonio mobiliare:
1. depositi bancari e postali;
2. investimenti in titoli di Stato;
3. denaro affidato a società di investimento o di risparmio (ad esempio assicurazioni miste sulla vita o polizze pensionistiche);
4. quote di partecipazione azionaria o in società a responsabilità limitata, fondi comuni di investimento ecc.

Cosa si intende per patrimonio immobiliare?

Per patrimonio immobiliare di una persona fisica, o di una società, invece, è da intendersi come l’insieme dei beni immobili individuati come da definizione dell’art. 812 c.c. 
Sono compresi nel patrimonio immobiliare i diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, servitù, superficie, enfiteusi, ecc.), mentre è esclusa invece la nuda proprietà.

Per ottenere una conoscenza di base del patrimonio immobiliare si può fare riferimento al Nuovo Catasto Edilizio Urbano, che censisce i beni con riferimento al legittimo proprietario, indicando la presenza di eventuali gravami su di essi. È da rilevare che nella dichiarazione dei redditi sono indicate soltanto quelle informazioni rilevanti ai fini della determinazione dei redditi fondiari e, quindi, rilevanti per la determinazione del reddito complessivo assoggettato a tassazione.

Già da tempo alcuni tribunali italiani (ma non tutti) impongono alle parti di un procedimento giudiziale di separazione o divorzio il deposito di un documento di disclosure nel quale è necessario indicare una molteplicità di dati afferenti alla propria condizione economico/patrimoniale.

Le sanzioni per chi è sleale processualmente

Cosa accade, tuttavia, se una parte, nei procedimenti in materia di famiglia, si comporta in modo reticente e sleale, producendo documenti patrimoniali inesatti o incompleti, o “si rifiuta in modo ingiustificato a consentire ispezioni” che il giudice ha ordinato?

Il giudice potrà ai sensi dell’art. 116 c.p.c. desumere argomenti di prova, ai fini della decisione della controversia, dal contegno processuale della parte, ma potrà anche “indipendentemente dalla soccombenza, condannare la parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili” ai sensi dell’art. 92, 1 c. cpc., ma non finisce qui; il giudice potrà, anche valutare il comportamento della parte ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e dunque, se risulterà che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condannerà, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. Il giudice potrà, inoltre, condannare la parte sleale al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro.5.000.