Gli studi professionali possono rimanere aperti?

Sono giorni difficili nei quali, oltre a timori e paure, dominano profonde incertezze interpretative delle varie ordinanze che si succedono freneticamente.

In attesa di una prognosi chiara ed autentica sull’interazione tra ordinanze regionali e decretazione del Premier, chiesta direttamente al Viminale dal Governatore lombardo Attilio Fontana, gli studi professionali delle Regioni più restrittive (Lombardia e Piemonte) restano aperti.

Secondo il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella gli studi professionali continueranno ad operare per garantire ai cittadini assistenza sanitaria e assicurare ai contribuenti e alle imprese l’espletamento degli adempimenti tributari, contributivi e previdenziali, durante l’emergenza.

Ma qual è il rapporto, dal punto di vista costituzionale, tra due fonti dl diritto così peculiari come un Decreto del Presidente del Consiglio appunto, e delle Ordinanze regionali, peraltro su un tema peculiare come quello della sanità (e ancora di più, su misure emergenziali)?

I professionisti possono continuare lo svolgimento della loro attività. Prevale infatti quanto previsto dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri. In primo luogo, in forza del criterio gerarchico: la normativa governativa primeggia, in caso di contrasto, con quanto previsto da un’ordinanza di un presidente di Regione. Se così non fosse vi sarebbe una frammentazione a livello regionale che non consentirebbe allo stato di realizzare il suo mandato costituzionale di assicurare un livello minimo di uniformità nella protezione dei diritti e delle libertà direttamente ed indirettamente coinvolte dall’adozione di misure di contenimento.

Ma vi è, in più, anche una ragione legata alla disciplina emergenziale in vigore. Ne parla il decreto legge 6/2020 – convertito nella legge 13/20 – che disciplina i canoni con cui il Parlamento identifica organi e modalità di intervento per l’adozione di misure restrittive ed è molto chiaro sul punto.

In particolare, l’articolo 3 specifica che solo «nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri» possono intervenire, in caso di estrema necessità urgenza, le fonti ministeriali, regionali e locali rilevanti, compresa ovviamente le ordinanze dei presidenti di regione. È proprio quello successo con l’ordinanza del presidente Fontana che, vista l’estrema necessità ed urgenza dettata dal drastico peggioramento della situazione sanitaria in Lombardia, nelle more dell’adozione del Dpcm, ha previsto la chiusura delle attività professionali. Una volta adottata la fonte governativa, per definizione, la fonte regionale in contrasto si deve ritrarre.

Tutto ciò non implica tuttavia che, al cospetto di una conclamata situazione di emergenza, una regione possa nuovamente invocare ragioni di estrema necessità e urgenza proprie del suo territorio e intervenire con norme più severe.

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