Il codice di procedura civile e la legge che ha introdotto il divorzio prevedono espressamente la possibilità per il Giudice di pronunciare sentenze non definitive di separazione e di divorzio.
Le norme in questione possono ritenersi specificazioni, in materia di diritto di famiglia, della generica previsione di cui all’art. 277 c.p.c. (e dell’art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c.), che riconosce al magistrato la facoltà di limitare la decisione ad alcune domande proposte, disponendo la prosecuzione dell’istruttoria per le altre.
La ratio sottesa all’istituto della sentenza non definitiva è quella di garantire una rapida definizione alla questione afferente lo status della coppia.
Presupposto per una pronuncia non definitiva è ovviamente l’esistenza di un processo cumulato, cioè nel quale vi sono più oggetti di decisione, il che di solito è la conseguenza dell’avvenuta proposizione di più domande.
È chiaro, infatti, che se l’unico oggetto del processo è costituito dalla domanda di separazione o di divorzio, l’unica pronuncia possibile è appunto quella che accoglie o rigetta l’unica domanda proposta, e che dunque è necessariamente una sentenza definitiva.
Naturalmente, passata in giudicato la statuizione sulla separazione, e trascorso il termine di legge, le parti possono chiedere il divorzio, nonostante continui – anche in appello – il giudizio sull’addebito o sugli altri aspetti.
Nulla questio se la causa di divorzio si conclude prima di quella di separazione, in questa diverrebe inevitabile la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.
Ben più complicato è il caso in cui il giudizio di divorzio debba risolvere le stesse questioni pendenti nella causa di separazione, per esempio un affidamento.
Nei tribunali, normalmente, le cause procedono autonomamente, con duplicazione dell’istruttoria (vengono espletate due ctu, due indagini tributarie, etc) e violazione del principio dell’economia processuale.
Una soluzione per evitare ciò, potrebbe essere la sospensione, una volta emessa la sentenza non definitiva di divorzio, dello stesso giudizio per quanto riguarda l’accertamento delle ulteriori domande, in attesa che si concluda la causa di separazione ancora pendente.
Nei due giudizi in ipotesi, si avrebbe identità sicuramente di soggetti e di petitum (assegno e affidamento sono contenuti analoghi nelle due cause), e si potrebbe considerare parzialmente coincidenti le rispettive causae petendi (l’intolleranza della convivenza non differisce infatti troppo dalla impossibilità di ripristinare la comunione di vita), essendo peraltro entrambe connesse al matrimonio.
Tale soluzione ben potrebbe risolvere il problema della duplicazione dei giudizi e degli accertamenti, ma, si badi bene, sarebbe utilizzabile solo se le cause sono entrambe pendenti in primo grado, in caso contrario la questione rimane aperta.