Il consenso alle tecniche di fecondazione assistita non può essere revocato dopo la fecondazione dell’ovulo, neppure se la coppia viene successivamente a separarsi. La tutela dell’embrione alla vita prevale sul diritto alla non paternità e può cedere il passo solo di fronte al rischio di lesione di diritti di pari rango ritenuti prevalenti (come la salute della donna). Il nascere in una famiglia di genitori separati non priverà il minore delle due figure genitoriali e della doverosa assistenza morale e materiale da parte di entrambi.
Una coppia di coniugi aveva iniziato il percorso di procreazione medicalmente assistita. Dopo l’insuccesso del primo tentativo di impianto, la coppia si era separata e la donna aveva chiesto in via d’urgenza di procedere ad ulteriori tentativi con gli altri embrioni crioconservati. Il marito, a fronte dell’interruzione della relazione, si era opposto.
Costituitosi nel giudizio ex art. 700 c.p.c., il marito sosteneva la mancanza dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge n. 40/2004, non esistendo più una coppia, già instabile essendo andata in crisi più volte dopo il matrimonio.
Il marito sollevava inoltre questione di costituzionalità dell’art. 6 comma 3 della legge nella parte in cui non consente di revocare il consenso informato prestato, dopo la fecondazione dell’ovulo. Secondo l’uomo, tale previsione violerebbe i diritti fondamentali della persona relativamente alla scelta di non procreare e imponendo di fatto una paternità non scelta.
Il giudice del provvedimento d’urgenza accoglieva l’istanza della donna ordinando di procedere all’inserimento nell’utero degli embrioni.
In sede di reclamo, il marito ha ribadito le doglianze già proposte nel merito, assumendo anche l’inammissibilità del procedimento ex art. 700 c.p.c. perché incompatibile con la necessità di un’istruzione non sommaria, volta ad accertare la libera e persistente volontà delle parti.
Punti focali della questione: da una parte la lesione del diritto del nascituro – tutelato dall’art. 30 della Costituzione – di avere la doppia figura genitoriale, e dall’altra parte, la “libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia”.
Secondo la tesi difensiva dell’uomo, non possono non avere rilevanza gli eventi successivi alla fecondazione, come la formazione di una nuova famiglia, la tutela dell’affidamento dei terzi (nuovi partners), la decisione di non proseguire nel progetto di filiazione.
Il Tribunale ha accolto la domanda della donna di proseguire il percorso di procreazione medicalmente assistita, decidendo su una questione estremamente delicata per la prima volta in Italia.
I giudici hanno ricostruito la ratio della legge n. 40/2004 per comprendere se il legislatore abbia inteso attribuire rilievo primario al diritto alla vita del concepito.
L’art. 6 della legge espressamente sancisce l’irrevocabilità del consenso successivamente alla fecondazione. L’art. 8 attribuisce alla volontà manifestata dalla coppia la funzione di attribuire lo status di madre, di padre e di figlio, escludendo la rilevanza di comportamenti e di eventi successivi alla fecondazione dell’ovulo.
La libera scelta di procreare perdura fino al momento, individuato dal legislatore, coincidente con la fase della fecondazione del materiale genetico.
La tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, come dichiarato all’art.1 della legge 40/2004, è attuata assicurando, da un lato, la consapevolezza del conìsenso alla Pma e la possibilità di revoca fino alla fecondazione, e, dopo tale momento, ritenendo prevalente il diritto alla vita dell’embrione che potrà essere sacrificato solo di fronte al rischio di lesione di diritti di pari rango ritenuti prevalenti perché relativi a soggetti già viventi, come nel caso della tutela della salute della donna.
Il Tribunale ricorda che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 151/2009, ha espressamente riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 della Costituzione.
Tale tutela può cedere solo in casi di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale che risultino prevalenti.
Nessuna lesione del diritto del nascituro di avere una famiglia si verificherebbe, posto che il minore nato da genitori separati godrà di entrambe le figure genitoriali, e otterrà da loro assistenza morale e materiale secondo gli obblighi connessi alla genitorialità.
Nel bilanciamento complessivo degli interessi, il diritto alla famiglia formata da coniugi non separati e il diritto alla vita dell’embrione, quest’ultimo deve essere considerato prevalente.
La decisione del tribunale Campano, per quanto possa suscitare riflessioni su un tema estremamente delicato, è in linea con i principi espressi dalla Corte Costituzionale.
Di recente anche la Cassazione si è espressa su una fattispecie analoga riguardante la revoca del consenso alla fecondazione eterologa dell’ovulo già avvenuta e la successiva azione di disconoscimento del nato.
La Corte ha osservato che consentire la revoca del consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, non appare compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni, più volte affermata dalla Consulta.
Oltre a ciò, sussiste un superiore diritto del figlio di non essere privato di una figura genitoriale e del rapporto affettivo e assistenziale, in particolare, quando sia impossibile accertare la paternità per l’utilizzo di materiale biologico estraneo alla coppia (Cass. Civ. ordinanza 18/12/2017 n° 30294).