Certamente l’apertura dei confini nazionali ha favorito l’aumento del fenomeno delle famiglie transnazionali. Oltre ad effetti indubbiamente positivi si è tuttavia anche registrato un incremento di indebiti trasferimenti di minori.
La Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 ha indubbiamente come preciso obiettivo l’immediata “restituzione” del minore che sia stato introdotto o trattenuto in un paese contro la volontà del genitore esercente la potestà o al quale il minore è affidato.
Non contenendo la Convenzione dell’Aja alcuna definizione della nozione di residenza abituale del minore, è fondamentale il contributo della giurisprudenza che ha individuato due elementi determinanti: la presenza duratura del minore sul territorio di uno stato; che in tale territorio sia localizzabile il centro dei legami affettivi del minore medesimo.
Con riferimento alla giurisdizione, la Convenzione dell’Aja stabilisce che le autorità dello stato in cui il minore si trova da meno di un anno (o da più di un anno senza che si sia realizzata una effettiva integrazione con il nuovo ambiente) siano competenti ad emanare il provvedimento di rientro immediato del minore.
Fondamentale, ai fini della decisione, è l’audizione del minore. Sul punto assumono rilevanza due fattori: l’età del minore ed il valore da attribuire a quanto emerso dall’audizione medesima.
In una decisione del 19 marzo 2009 la United Kingdom, England ad Wales Court of Appeal non ha ordinato il rientro del minore basandosi unicamente sul rifiuto del minore stesso, ritenuto di età e maturità tali da potersi esprimere consapevolmente.
Il Regolamento n. 2201/2003 è intervenuto per colmare le lacune della Convenzione, ma il risultato non può ancora dirsi completamente soddisfacente in quanto non è sempre realmente tutelato il diritto del minore a mantenere rapporti con entrambi i genitori e, soprattutto, ad avere una sana ed equilibrata crescita psico – fisica.