Addio alla condanna per violazione degli obblighi di assistenza familiare per il marito che riduce l’importo dell’assegno mensile da versare alla moglie. Se il “taglio” è avvenuto per un periodo breve (peraltro, successivamente sanato) e non risulta provato lo “stato di bisogno”, l’autoriduzione non è sufficiente a configurare la responsabilità penale. Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 23010/2016, accogliendo il ricorso di un uomo condannato dalla Corte d’Appello a due mesi di carcere e multa per il reato di cui all’art. 570, 2° comma, n. 2, c.p., per “essersi sottratto ai doveri di coniuge separato e padre di due minori” riducendo l’assegno di mantenimento mensile da 4mila a 800 euro e facendo quindi mancare i mezzi di sussistenza.
Pur non credendo allo stato di indigenza dell’uomo, gli Ermellini hanno ritenuto che sull’assenza di motivazione circa lo stato di bisogno il ricorrente avesse ragione.
Vero è, ha affermato infatti la Suprema Corte, che l’onerato era nella concreta possibilità di adempiere ai propri obblighi di corresponsione dei mezzi di sussistenza, ma è vero altresì che “non pare adeguatamente motivata la circostanza della sussistenza dello stato di bisogno della moglie e dei figli minori”.
I giudici di merito hanno “alluso ad un grave disagio ed effettivo stato di bisogno” richiamandone nozione e presunzione sulla base di alcune massime della Cassazione, senza confrontarsi “criticamente con i dati di fatto accertati e richiamati che lascerebbero invece trasparire una sostanziale inesistenza di un effettivo stato di bisogno dei destinatari dei versamenti – posto che lo stesso va tenuto – distinto dall’obbligo di mantenimento ed individuato in quanto è necessario per la sopravvivenza, sia pure con la valutazione di altre complementari esigenze quali abbigliamento, istruzione, abitazione, mezzi di trasporto e simili”.
Ora la parola dunque al giudice del rinvio che dovrà accertare “l’effettività dello stato di bisogno della moglie e dei figli minori”.