L’atto denominato trust, funzionale, in ordine agli effetti, all’applicazione di un regolamento equiparabile ad un fondo patrimoniale, va qualificato ai fini tributari come atto costitutivo di vincolo di destinazione, con le conseguenti assoggettabilità alla relativa imposta dei beneficiari della destinazione e responsabilità d’imposta del notaio rogante.
È questo il principio espresso dalla Cassazione nell’ordinanza n. 3886 del 25 febbraio 2015.
Un notaio aveva rogato un atto costitutivo di un trust, in cui i disponenti (due coniugi) avevano designato come beneficiari se stessi se in vita, o i figli in parti uguali in caso di morte e, in considerazione della mancanza di attualità di trasferimento di diritti, aveva applicato in maniera fissa le imposte di registro, ipotecaria e catastale.
L’Agenzia delle Entrate notificava al notaio un avviso di liquidazione sostenendo che il trust in questione, realizzando una destinazione giuridicamente vincolante dei beni per la soddisfazione del fine ivi specificato, dovesse essere assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni con l’aliquota dell’8%, mentre le imposte ipotecaria e catastale dovessero essere applicate in misura proporzionale, giacchè la mancanza del requisito dell’onerosità non è sufficiente a ritenere l’atto privo di contenuto patrimoniale.
La Suprema Corte, chiamata a dirimere la questione, ha rilevato come il regolamento realizzato dai due coniugi, benchè sia denominato trust, non ne ha la fisionomia sostanziale in quanto privo di uno dei tratti tipologicamente caratteristici, ossia il trasferimento a terzi da parte del settlor dei beni costituiti in trust, al fine del conseguimento dell’effetto, con carattere reale, di destinazione del bene alla soddisfazione dell’interesse programmato. La causa del relativo negozio sta infatti nella conformazione funzionalmente orientata della proprietà.
In effetti, come ha precisato la Cassazione in altre pronunce “presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio”.
Il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, come convertito, prescrive che “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.
Il tenore della norma evidenzia che l’imposta è istituita non già sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione, come, invece, accade per le successioni e le donazioni, in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale: l’imposta è istituita direttamente sulla costituzione dei vincoli.
A differenza che nell’imposta classica sulle successioni e donazioni, nell’imposta in questione il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l’oggetto consiste nel valore dell’utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l’impoverirsi.
Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell’arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni, con conseguente interpretatio abrogans della disposizione in questione.
È questa, conclude la Corte, la situazione che ricorre nella fattispecie in esame, in cui non si è prodotto effetto traslativo alcuno, ma in cui i disponenti, nel regolamentare i propri interessi con effetti assimilabili a quelli di un fondo patrimoniale, hanno impresso, come effetto immediato e diretto, vincoli temporanei al libero esercizio dei propri stessi diritti sui beni immobili in oggetto.
Di qui la ricorrenza, oltre che del presupposto impositivo, anche della qualità di soggetti passivi in capo ai coniugi non soltanto dell’imposta sulle successioni e donazioni, ma anche ipotecaria e catastale, in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 2, comma 2, e del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10.